21 febbraio 2011

Rileggendo: Edith Nesbit

E. Nesbit, Al buio, Sellerio, Palermo 1992, 228 pp., L. 25.000 (prezzo originale, attualmente acquistabile tra i 10 e i 13 euro)

Sì, l’Osservatorio Rottenmeier è rimasto silente per un po’, come è facile notare. Ma questo non vuol dire che i suoi occhi corrucciati abbiano cessato di guardarsi intorno in cerca di qualcosa su cui soffermasi. Semplicemente, niente in questo periodo è riuscito a colpirmi, in positivo o in negativo, abbastanza da spingermi a portarlo alla vostra attenzione. Ma alle volte l’ispirazione si incontra in luoghi inaspettati. In questo caso, si è trattato di una libreria di libri usati, dove, tra tanti volumi orfani, la mia attenzione è stata portata su un libro poco vistoso, dalla copertina in cartoncino ondulato marrone decorata da una piccola illustrazione quadrata piuttosto anonima, raffigurante una ragazza in abiti ottocenteschi intenta a leggere davanti a una finestra. Era ovviamente un volume Sellerio, dall’interessante e vagamente inquietante titolo Al buio. Autrice, Edith Nesbit, un nome che rievocava vaghi ricordi di libri per bambini e di un irritante film moralista tratto da uno dei suoi romanzi, che contava nel cast anche un antipaticissimo folletto dalla faccia pelosa. Ma quello che stavo guardando non era un romanzo per ragazzi, ma una raccolta di storie di “nere”. Storie di fantasmi, anzi. Nella più pura tradizione inglese, verrebbe da dire. Ma mi è bastato andare avanti un po’ nella lettura per avere delle sorprese.
L’introduzione, di Remo Ceserani, merita una menzione di per sé, non fosse altro che per l’interessantissimo ritratto che dà dell’autrice e del mondo intorno a lei. Donna estremamente affascinante, Edith Nesbit: moglie di un uomo bizzarro e traditore, autrice intrisa di morale e valori vittoriani, ma anima di una comunità di intellettuali radicali legati alla Fabian Society, amante, ma solo idealmente, di George Bernard Shaw. Contraddittoria tanto nella vita quanto nella produzione letteraria, la celebrità della Nesbit è legata a titoli per l’infanzia (o sull’infanzia, come ebbe a scrivere Gore Vidal) come I bambini della ferrovia o Cinque bambini e la Cosa, ma fu anche autrice di svariate storie fantastiche e dell’orrore.
L’edizione Sellerio riprende la selezione di racconti pubblicata dalla Equation nel 1988 a cura di Hugh Lamb, mantenendo inalterato anche il titolo (In the Dark in originale). Quattordici storie, scritte tra il 1886 (Corpi di marmo) e il 1910 (Al buio), che esplorano la paura, la follia, il delitto, la morte. Ad aprire la raccolta, Corpi di marmo, l’unico racconto della Nesbit a essersi sistematicamente fatto strada nelle antologie di storie di fantasmi. Una solida, classicissima ghost-story di tradizione romantica, tanto tipica da risultare convenzionale e un po’ banale, esattamente come il racconto seguente, La storia d’amore di zio Abraham. Storie da raccontare davanti al fuoco nelle lunghe e fredde notti invernali, nel solco di Montague James, come Il matrimonio di John Charrington col suo sapore da ballata di campagna, o Il mistero della villetta, pervaso da un’aria da leggenda metropolitana, da aneddoto da scambiare in una pigra conversazione su eventi bizzarri e straordinari.
È con Dal mondo dei morti che si inizia a notare qualcosa di inaspettato nei racconti della Nesbit. Nella storia di un uomo che riecheggia l’Angel Clare di Tess dei d’Urberville, pronto a rinunciare alla felicità e a rovinare la donna che ama per l’orgoglio ferito da un torto passato e vittima della sua incontrollabile codardia quando gli si offre la possibilità di fare ammenda, ecco comparire temi cari ad Edgar Allan Poe, come la febbrile ossessione per la donna perduta o il dubbio su una morte che potrebbe essere solo apparente. Temi che si incontrano ancora in Hurst di Hurstcote, che all’autore statunitense deve tantissimo. Il mesmerismo di Hurst è tinto di magia ed è alimentato dall’amore, ma si spinge oltre la morte come nel Poe di Rivelazione mesmerica e, soprattutto, della Verità sul caso del signor Valdemar, da cui è presa di peso l’idea che la trance ipnotica possa impedire la corruzione dei corpi dei defunti. La Nesbit, di suoi, inserisce in questo contesto una passione e un coinvolgimento emotivo e personale che manca nei precendenti racconti “scientifici”.
E mentre in La cornice d’ebano si possono scorgere ricordi della Morte amoureuse di Théophile Gautier e del suo rapporto ribaltato tra sogno e realtà indotto dall’amore per una donna che potrebbe provenire dalla tomba, o essere solo una fantasia, ancora Poe e il suo Cuore rivelatore erano forse nella mente dell’autrice quando ha scritto una storia di senso di colpa e follia come Al buio. Ma il tema è affrontato in modo originale, fresco, nuovo, e in alcuni momenti genuinamente spaventoso, nella vicenda dell’assassino perseguitato dal cadavere della sua vittima (non un’entità ritornata dall’aldilà, ma un vero e proprio corpo senza vita) per colpa della maledizione del morente, o, forse, solo di una serie di improbabili coincidenze. Al buio è una delle migliori storie di fantasmi di sempre, e, se siete appassionati del genere, varrebbe da sola la lettura del libro. Ma non è l’unica storia di quel livello che si trova in questa antologia.
Per capirlo basta passare a L’automobile viola, in cui non c’è nessun modello a fare da guida e ispirazione alla Nesbit. Un angolo della campagna inglese, disperazione, forse follia. E un’automobile, un corpo estraneo che nel corso del racconto, e culminando nell’inquietante finale, finisce, inesorabile e sinistra, per incarnare la morte e il male, quasi un secolo prima della Christine di Stephen King.
Pur non all’altezza di queste due vere gemme, L’ombra ha il merito di affrontare da un punto di vista originale un’idea abusata come quella della “casa stregata”, creando uno strano esempio di infestazione tanto spaventosa quanto inspiegabile e inspiegata, una manifestazione soprannaturale che sembra non avere origine né scopo, e che forse è causa, o forse presagio, di morte. Del resto, l’autrice suggerisce, attraverso una delle protagoniste del racconto, che le storie di fantasmi prive di senso siano le più spaventose…
La testa sarebbe senz’altro uno dei racconti più riusciti della raccolta, se non presentasse, sul finale, un brusco e fastidioso cambio di punto di vista, da quello del dandy Morris Diehl, che domina tutto il racconto, a quello dello scultore April Vane, per poi tornare a Diehl subito dopo alcune righe. Nonostante ciò, questa storia “nera”, che non presenta nulla di soprannaturale, resta uno splendido e disturbante viaggio nell’ossessione e nella vendetta, e basta l’immagine, appena accennata, di un uomo che taglia sistematicamente con un coltello la testa di legno raffigurante il suo rivale, fino a farla a pezzi, per vedere se sanguina, per farla restare impressa nella mente per molto tempo. Sullo stesso piano si pone Il padiglione, in cui lo spunto fantastico è solo un pretesto per mostrare l’amore appassionato di una donna  e il gesto innocente, ma avventato e “così indegno di una signora”, che quell’amore la spingerà a compiere, e che la condannerà a una vita di solitudine e amarezza, a differenza della sua più bella e superficiale amica.
Un cenno a parte meritano i due racconti “fantascientifici” della raccolta. Più vicina a Stevenson che al contemporaneo (e conoscente) Wells, in Le tre droghe e I cinque sensi la Nesbit mostra scienziati-alchimisti impegnati a mescere droghe e pozioni che permettano all’uomo di superare i suoi limiti. E se, nei Cinque sensi, il medico vivisezionista che ha deciso di utilizzare se stesso come cavia esce vivo e cambiato, grazie alla scoperta dell’amore e dell’empatia per gli altri esseri viventi, dai suoi esperimenti (nonostante debba sopportare un seppellimento prematuro), per lo scienziato delle Tre droghe, che ha sacrificato soggetti umani, compresa la donna amata, alla ricerca del farmaco che gli faccia ottenere l’onniscienza, non c’è possibilità di redenzione e salvezza. Una presa di posizione netta contro il positivismo e il tecnicismo esasperati, contro una scienza che rifiuta l’umanità, di natura probabilmente politica, ma in cui si può forse anche scorgere un inconscio smarrimento di fronte ai cambiamenti, al crollo di quelle strutture di valori e credenze che avevano sostenuto la società vittoriana.
E nel difficile abbandono di quei valori si può forse scorgere il filo conduttore di tutte le storie di questa raccolta della Nesbit. In molti di questi racconti si incontra uno schema tipico: un personaggio, spesso il narratore, ha visto la persona amata sposare altri, e si ritrova a fare da osservatore, confidente, protettore di quella felicità  coniugale che avrebbe desiderato, e che viene puntualmente minacciata dall’irrompere di un pericolo naturale o soprannaturale, quasi che la famiglia tradizionale non fosse affatto quel baluardo di affidabilità e sicurezza in cui la società vittoriana aveva voluto disperatamente credere, e che ogni speranza di salvezza, di serenità, di giustizia, si trovi al di fuori di essa, nei sentimenti liberi da ogni convenzione, sacrificati al decoro e alle convenienze.
Tutti amano, sempre appassionatamente, a volte ossessivamente, nelle storie di Edith Nesbit. Amori che non rimangono mai impuniti, in un modo o nell’altro. E le forze oscure e malvagie che avversano gli amanti sembrano assumere l’aspetto a volte di un censore crudele e moralista, altre quelle di un tecnocrate senza sentimenti e immaginazione. L’eredità dell’800 appena finito e il presagio del ‘900 appena cominciato, uniti a formare le due facce di un unico incubo Belle Époque.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma mi obbligherebbe a svelare delle storie più di quanto abbia già fatto, e sarebbe un peccato. Se doveste incontrare questo libro vagabondando per bancarelle o librerie, non fatevelo sfuggire, se amate le storie di fantasmi. Ma anche se non le amate, fossi in voi, gli darei un’occhiata lo stesso.

Cosa farebbe la signorina Rottenmeier?
La signorina Rottenmeier detesta andare in giro a cercare qualcosa frugando tra pile di vecchi libri polverosi. Non fa per lei.
Infatti ha mandato i garzoni della cucina a battere i mercatini.

1 commento:

  1. me lo devi prestare, allora. appena finisco il mattone sull'impero romano, cioè tra un paio di anni...

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