28 novembre 2010

History for Music Lovers (e Music for History Lovers)

Qui all’Osservatorio amiamo la storia con la passione sconsiderata del dilettante entusiasta, e ci piacciono le persone creative. Potete quindi immaginare quanto siamo stati felici che sia stato portato alla nostra attenzione History for Music Lovers, il canale YouTube di una coppia di insegnanti di storia statunitensi, Mrs. B e Mr. H, che hanno adattato una serie di canzoni più o meno famose per trattare i più svariati argomenti della loro materia. Per la maggior parte si tratta di storia europea antica e medievale, ma non mancano escursioni nel tempo e nello spazio (Cina, Egitto, Rinascimento, Rivoluzione Francese…), oltre che in altre materie (letteratura, filosofia…).
Le canzoni sono accompagnate da buoni video (in alcuni casi ottimi) che sfruttano spezzoni di film e documentari e foto di opere d’arte, ed eseguite dalla voce di Mrs. B, che non è un’interprete perfetta ma si dimostra all’altezza del compito, e spesso non esita a indossare parrucche, costumi, corone di cartone e a buttarsi direttamente in scena. La scelta della musica spazia da Siouxsie and the Banshees a Lady Gaga passando per Beatles, Green Day, Billy Idol e Depeche Mode. È interessante notare come cambiare testo e contesto renda tollerabile persino ascoltare Jenny from the Block di Jennifer Lopez.
Tutti i video meritano di essere visti, a parte magari un paio un po’ inconcludenti (quelli sui filosofi greci e Nefertiti, per esempio), ma se dovete scegliere, non perdete assolutamente quello su Enrico VIII e le sue sei mogli (sulla musica di Money, Money, Money degli Abba). Menzione speciale per quello sulla civiltà minoica: riuscire a inserire la parola “talassocrazia” in una canzone dei Radiohead è un’impresa che merita plauso e riconoscimento.

20 novembre 2010

Mushishi (Star Comics)

Y. Urushibara, Mushishi, Star Comics, 10 volumi (conclusa), pp. 224, 6 euro

Certe volte le cose cambiano, e non ti rendi conto di come e quando sia successo. Quando, tempo fa, iniziai a leggere manga, la Star Comics era il principale punto di riferimento, la casa editrice dei grandi autori e delle pietre miliari. Quella che pubblicava Katsura, Toriyama, Takahashi, che esplorava nuove strade, proponeva nuovi generi, faceva esperimenti con “Storie di Kappa” o “Young”. Allora i manga erano ancora roba da “adolescenti maschi”. L’idea di pubblicare uno shojo o un seinen in Italia faceva tremare i polsi agli editori. Si poteva rischiare con shonen atipici e romantici come Video Girl Ai, ma erano eccezioni. Ricordo bene gli appelli di Barbara Rossi dei Kappa Boys, che pregava i lettori di Ranma ½ di inviare cartoline in cui dichiaravano di essere disposti ad acquistare shojo, nel caso fossero stati pubblicati (cartoline, sì… è passato più tempo di quanto mi piaccia ricordare).
Oggi il mercato è molto più vario, le proposte si sono moltiplicate, i Kappa Boys hanno una loro casa editrice, gli shojo sono ovunque, la principessa Takahashi ha sprecato anni sull’interminabile e per niente epocale Inuyasha ma almeno la Planet Manga, bontà sua, pubblica Miyazaki e Otomo. E la qualità generale dei manga che arrivano in Italia sembra essere precipitata.
Per fortuna c’è sempre un’eccezione alle regole. E così un giorno scopri che la Star Comics ha pubblicato qualcosa che, ai vecchi tempi, non si sarebbe mai potuta proporre al pubblico italiano.

9 novembre 2010

Sulle tracce di Cthulhu (Stratelibri)

K. Hite, Sulle tracce di Cthulhu, Stratelibri, Città di Castello 2010, 248 pp., 35 euro

Ogni anno il Lucca Comics & Games, la più importante fiera italiana del fumetto e del gioco, assegna i Best of Show (d’ora in avanti BoS), premi ai migliori prodotti ludici pubblicati nell’anno trascorso dalla fiera precedente. Il fatto che i premi vadano effettivamente ai giochi migliori è da lungo tempo oggetto di discussione. Di sicuro nel giudizio pesano fattori che chi è estraneo all’ambiente difficilmente associa al mondo ludico, come l’attesa e la popolarità del gioco premiato, la volontà di dare riconoscimenti a determinate case editrici, il peso “politico” che può avere in un determinato momento sostenere un prodotto in particolare. Tuttavia si tratta pur sempre del più importante riconoscimento nazionale di settore, e quindi i premiati meritano una certa attenzione.
Quest’anno il BoS per il miglior gioco di ruolo (d’ora in avanti gdr) è andato, come era facile prevedere, a Sulle tracce di Cthulhu di Kenneth Hite, ultima produzione di casa Stratelibri. L’uscita del gioco, rimandata di un anno a causa delle difficili vicende societarie della casa editrice, alla fine approdata sotto il marchio GiochiUniti, era attesa con attenzione, anche se non con esagerato entusiasmo. Si tratta del rilancio di un’ambientazione classica, quella dei Miti di Cthulhu tratta dai racconti di Howard Phillips Lovecraft e già utilizzata in uno dei “grandi vecchi” del gdr, Il richiamo di Cthulhu, che ha avuto un buon successo anche nell’asfittico mercato italiano. A quest’ambientazione è stato adattato il sistema Gumshoe di Robin D. Laws, un corpus di regole ideato appositamente per uno stile di gioco investigativo, già visto in Italia in Esoterroristi (edito da Janus Design).

Si tratta di un corposo volume in formato A4, davvero poco pratico ma, per motivi che sfuggono alla comprensione comune, tipico (e, per molto tempo, standard) dei gdr, con copertina morbida dall’apparenza non particolarmente solida. Da quel che si può intuire osservando la rilegatura, metterla alla prova aprendo con forza il manuale per fotocopiare la scheda del personaggio o le tabelle che si trovano nelle pagine finali richiede un coraggio e una noncuranza per l’integrità del libro che, devo ammetterlo, mi mancano. Per fortuna in rete sono facilmente reperibili materiali printer friendly che permettono di risparmiarsi questa ordalia.
Le pagine hanno uno sfondo movimentato da simil-macchie d’umidità verdastre che rendono l’aria da “vecchio tomo dimenticato” ma alla lunga risultano fastidiose. Le illustrazioni di Jérome Huguenin, virate in seppia e realizzate sia con disegni che con fotoritocco, sono di qualità altalenante e raramente davvero suggestive o inquietanti. A questo vanno ad aggiungersi i difetti specifici della traduzione e dell’impaginazione dell’edizione italiana: i rimandi alle pagine all’interno del testo sono spesso sbagliati, i riquadri di approfondimento non sono quasi mai nella pagina della regola a cui si riferiscono, nelle sezioni sui libri, i culti e gli incantesimi c’è una totale noncuranza per l’ordine alfabetico dei vari elementi descritti, alcune traduzioni appaiono piuttosto discutibili (Gioco di Mano per Filch, Fisico per Athletics, Parlare alla polizia per Cop Talk) e non sempre coerenti (Forgery prima tradotta come Forgiare e poi, correttamente, come Falsificare, La casa evitata che diventa subito dopo La casa sfuggita…). Nulla di particolarmente grave, in sé; ma l’insieme tradisce una mancanza di cura e revisione che, dato il prolungato rinvio della pubblicazione, appare inspiegabile.
Veniamo al contenuto del volume. La prima parte si occupa di spiegare le regole del gioco. Lo scenario da tenere a mente è che lo scopo è creare e giocare storie ispirate a quelle di Lovecraft (che spero conosciate tutti; in caso contrario, la signorina Rottenmeier vi bacchetterà personalmente sulle nocche finché non leggerete qualcosa del secondo miglior autore statunitense di storie del terrore): quindi, investigazioni su orrori cosmici e culti perversi negli anni ’30, che molto probabilmente porteranno gli intrepidi cercatori della verità alla morte e alla follia. Il manuale chiama questo stile Classico, e presenta regole opzionali per giocare avventure più violente e cinematiche, in stile Pulp.
L’impostazione è tipica: un giocatore assume il ruolo del Custode, incaricato di presentare un mistero da risolvere, di descrivere luoghi e scene, di interpretare i personaggi e le creature mostruose incontrati dai protagonisti della vicenda, gli Investigatori, gestiti dagli altri giocatori. Per creare un Investigatore bisogna scegliere la sua professione, una Pulsione che lo spinge a indagare su cose che farebbero accapponare la pelle a chiunque fosse dotato di un minimo di buon senso, dei principi in cui crede fermamente (i Baluardi di Sanità) ed eventualmente persone a cui è fortemente legato (Fonti di Equilibrio). Questi elementi sono potenzialmente molto interessanti, ma, a parte le Pulsioni, la loro influenza meccanica in gioco è praticamente insignificante. Quindi bisogna assegnare dei punti a una serie di Abilità Investigative e di Abilità Generiche. Le Abilità Investigative non falliscono mai, e quindi non vengono mai testate: se c’è un indizio che può essere trovato grazie a quella abilità, il personaggio che vi ha investito dei punti lo troverà senz’altro. Questo può sembrare ovvio a chi non abbia familiarità con i gdr: se si tratta di un’investigazione, è ovvio che gli indizi vengano trovati, altrimenti che si fa? Invece questa è una grande innovazione del Gumshoe: tantissimi regolamenti per gdr, compreso quello del Richiamo di Cthulhu, affidano il ritrovamento degli indizi a un tiro di dado che può fallire, lasciando tutti i giocatori nell’imbarazzo di non sapere più che fare. La cosa più bizzarra è che molti di quegli stessi giocatori vi direbbero che quelle situazioni le amavano, e rendevano “realistica” l’esperienza di gioco. No, non sforzatevi di capire perché questo dovrebbe giustificare la noia di quegli episodi.
Le Abilità Generiche invece vengono testate. Sono quelle che riguardano l’azione vera e propria: sgattaiolare furtivi, sottrarre oggetti, fuggire, combattere… Sono le Abilità che si usano quando la sopravvivenza degli Investigatori è messa a repentaglio, e si risolvono con un singolo tiro di dado a cui possono essere aggiunti bonus ottenuti spendendo i punti investiti su quell’Abilità alla creazione del personaggio. Per avere successo, il tiro deve raggiungere o superare una difficoltà stabilita dalle regole o dal Custode. In stile Classico, il manuale consiglia di tenere segreta questa difficoltà ai giocatori. Questo mi piace poco: la difficoltà segreta può spingere il Custode a barare sul successo del tiro. Se vi chiedete perché mai dovrebbe farlo, vuol dire che non avete mai giocato a un gdr tipico. Siate lieti per questo.
Tra le Abilità Generiche figurano anche l’Equilibrio mentale e la Sanità, ovvero la capacità di comportarsi in maniera razionale e la fiducia nel fatto che il mondo in cui viviamo abbia un senso e non sia solo un’enorme, pietosa bugia che ci protegge dall’orrore cosmico che ci circonda. Confrontarsi con orrori naturali e soprannaturali porta alla perdita di Equilibrio e Sanità, cosa che può condurre un Investigatore alla follia. Con un approccio molto divertente e originale, in questo gioco la malattia mentale non è affidata all’interpretazione di un singolo giocatore, ma a quella collettiva dal gruppo (che, per fare un esempio, potrebbe decidere di iniziare di punto in bianco a fare riferimenti a eventi mai avvenuti per portare in gioco l’amnesia di cui soffre un Investigatore).
Segue una sezione dedicata all’ambientazione, con la descrizione di oscure divinità, creature mostruose, incantesimi, libri maledetti, culti segreti (pagine in cui, inspiegabilmente, le da subito contestatissime teorie di Margaret Murray sui culti stregoneschi vengono spacciate per “antropologia ufficiale”) e note storiche sugli anni ’30, tutte scritte in modo da evitare un soporifero effetto enciclopedia e fornire invece spunti e idee di gioco senza tuttavia togliere ai giocatori la libertà di creare e improvvisare. Ci sono anche alcune pagine su armi, equipaggiamento e veicoli, così superflue e noiose, data l’astrazione e la semplicità del sistema, da far pensare che l’autore abbia dovuto inserirle sotto minaccia armata per dare un contentino ai sostenitori del realismo di cui sopra. Si consiglia caldamente di ignorarle.
Chiudono il manuale capitoli di consigli agli Investigatori e soprattutto al Custode (ottime indicazioni su come costruire un’avventura, organizzare una campagna, seguire le idee e le iniziative degli Investigatori, improvvisare, inquadrare una scena in modo aggressivo ed efficace e tenere alta la tensione) e un’avventura di esempio che illustra bene come non bisognerebbe mai permettere a uno statunitense di giocare con la mitologia greca (come se Hercules, Xena e Troy non fossero bastati). Utile l’appendice per convertire nelle nuove regole il materiale per Il richiamo di Cthulhu. Si sente la mancanza, tra le schede e tabelle inseriti alla fine del manuale, di un breve riepilogo delle regole su Test, Contese e Conflitti e sulla spesa e recupero dei punti delle Abilità.
Tirando le somme: un prodotto editoriale mediocre, ma un gioco solido e con spunti interessanti, anche se non perfetto. Consigliato a chi ama l’ambientazione lovecraftiana e il mettersi alla prova con indagini e misteri: questo gioco fornisce questo, e solo questo. E lo fa piuttosto bene.

Cosa farebbe la signorina Rottenmeier?
La signorina Rottenmeier, inorridita per la sciatteria dell’edizione italiana, deciderebbe di procurarsi quella originale. E dato che giocare non è decoroso, si limiterebbe a mostrare a scopi pedagogici come si fa davvero il Custode. Certa gente, davvero, non riesce ad afferrare i concetti più semplici!

3 novembre 2010

Solomon Kane (Coniglio Editore)

R. E. Howard, Solomon Kane, Coniglio Editore, Roma 2010, pp. 480, 16 euro




Quando qualcuno decide di trarre un blockbuster estivo da qualcosa a cui sono legato, inizio a tremare come una foglia. Se poi la produzione è anglo-franco-ceca e la regia è affidata a qualcuno la cui intera carriera consiste in un paio di horror mediocri, mi attendo una catastrofe. Il film su Solomon Kane non ha deluso le aspettative in questo senso, ma per fortuna ha avuto quella che di solito è l’unica ricaduta positiva di questo genere di iniziative: la ripubblicazione delle storie di Robert E. Howard che hanno come protagonista il Puritano.
In particolare sto parlando di quella edita da Coniglio Editore nella collana “Ai confini dell’immaginario”, che ricalca la storica edizione Fanucci del 1979 a cura del dinamico duo del fantastico in Italia, de Turris-Fusco (curatori anche della collana della Coniglio).
Il libro si presenta bene: grafica sobria, copertina bianca con scritte nere e illustrazione accattivante, formato A5 molto pratico, copertina morbida con risvolti, rilegatura solida. All’interno, l’intera produzione di Howard su Solomon Kane, compresi i frammenti, i racconti incompleti, le due riscritture di Blades of the Brotherhood e tre poesie (di cui una in due versioni), due saggi su Kane e uno sulle trasposizioni a fumetti delle avventure del Puritano. Inoltre i racconti incompiuti hanno una prosecuzione a opera di Gianluigi Zuddas, autore anche una di storia introduttiva e di una conclusiva che fanno da cornice alle altre. Questo materiale fu già scritto per l’edizione del ‘79.

Su Solomon Kane ci sarebbe da dire così tanto da travalicare i limiti e lo scopo di questo spazio. La storia in sé è presto detta: tra ‘500 e ‘600, un avventuriero puritano inglese, vittima di persecuzioni in patria, viaggia attraverso l’Europa e l’Africa raddrizzando torti, distruggendo mali atavici, affrontando banditi, pirati, schiavisti, civiltà perdute e un vasto assortimento di mostri. Ma questi racconti hanno una potenza e un fascino che travalica l’esilità delle trame e le ingenuità che si affacciano spesso nelle storie.
Kane è il personaggio che preferisco di Howard, più del barbaro-filosofo Kull, più del vitalistico e celeberrimo Conan. Ritengo il Puritano la migliore creazione letteraria del “Bardo di Cross Plains”, il più profondo e interessante dei suoi eroi. Un fanatico religioso fratello di sangue del praticante della peggiore magia nera, un combattente letale dubbioso sull’efficacia della violenza, un giustiziere spietato che nasconde un’incredibile umanità, un vendicatore di torti che usa la volontà divina come scusa per soddisfare la sua insaziabile sete di avventura e pericolo: Kane è affascinante nelle sue contraddizioni, nella ricerca incessante di qualcosa che non conosce e non riesce a trovare, nel suo continuo aggrapparsi a giustificazioni morali per spiegare il suo bisogno di viaggiare e di combattere. In lui il cavaliere errante (e la sua “reincarnazione” western, il pistolero portatore di giustizia in città senza legge), l’eroe dell’epica classica e quello biblico si fondono con una felicità mai più raggiunta. La narrativa di avventura ha in Solomon Kane una pietra miliare da cui non si può prescindere.
Il problema è: cosa c’entra Zuddas in tutto questo?
Chiariamoci: Gianluigi Zuddas è uno dei pionieri del fantastico in Italia, una figura importantissima nella faticosa penetrazione della letteratura fantasy nel nostro paese. È anche un buon autore, e quando ha scritto le sue storie su Kane era un giovane agli esordi. Ma il suo intervento in questo libro è deleterio, e non averlo eliminato da questa edizione è qualcosa di cui non mi capacito.
La stessa idea di scrivere dei racconti che aprano e chiudano la vicenda di Kane dà da pensare: passi per le origini (che già vanno a dare un colpo all’immagine dell’eroe vagabondo, di cui non si conoscono provenienza e destinazione, che Howard, grande amante delle storie western, probabilmente aveva in mente quando immaginava il suo personaggio), ma dare un seguito alla suggestiva, coinvolgente conclusione della poesia Solomon Kane’s Homecoming, è sbagliato. Ne distrugge il significato, demolisce la dimensione omerica dell’Ulisse pulp di Howard, offusca l’alone di leggenda dell’eroe che scompare, in attesa, forse, del momento di tornare.
Ma anche volendo sorvolare su questo terribile errore, la qualità degli interventi di Zuddas è drammaticamente inferiore a quella degli scritti di Howard. Si potrebbe obiettare che è l’inevitabile conseguenza del confrontare un’imitazione a un originale. Cosa che fa sorgere dubbi sull’effettiva necessità di, appunto, inserire delle imitazioni a fianco dell’originale.
Il Kane di Zuddas è rigido, schematico, ha davvero poco della profondità del personaggio di Howard. Le trame dello scrittore italiano sono probabilmente più solide e meglio congegnate di quelle dell’autore texano, ma mancano della potenza immaginativa che rende così efficaci le storie originali, e in alcuni casi sembra esserci stato un vero e proprio travisamento delle intenzioni dell’autore.
Andiamo con ordine. L’isola del Serpente Piumato è il racconto di introduzione, con protagonista un giovane Solomon Kane. Il personaggio, nel comportamento e nelle motivazioni, appare decisamente differente dalla sua versione canonica (forse troppo, colpa dell’età?). Un inizio promettente viene sciupato dal far prendere alla trama una svolta fantascientifica tanto banale quanto estranea al mondo di Howard. Superfluo.
Segue Il castello del Diavolo, ovvero: come prendere l’incompiuto più affascinante di Howard e sciuparlo con una storia poco chiara che mischia un po’ di fraintesa mitologia nordica, un mistero che il lettore risolve in circa tre righe, una minaccia che non riesce a essere credibile neanche per un attimo. Il momento peggiore del libro.
Abbiamo poi Hawk di Basti, che mi lascia perplesso. È chiarissimo chi, nelle intenzioni di Howard, dovesse essere il cattivo doppiogiochista della storia. Non serve neanche leggere con chissà che attenzione per arrivarci! Ma Zuddas trasforma quel personaggio nell’eroe positivo della vicenda. Incomprensibile.
I figli di Asshur ha invece una buona prosecuzione. Probabilmente perché si tratta dell’incompiuto più lungo di Howard, sufficiente a dare impronta e direzione alla storia. Ma Zuddas è all’altezza del compito e il racconto scorre piacevolmente fino alla fine, senza che il passaggio da una penna all’altro sia brusco come negli altri casi.
Infine, La Corona di Asa, il racconto che chiude le avventure del Puritano. Non eccellente ma scorrevole. Purtroppo ha il difetto di venire dopo Solomon Kane’s Homecoming, rovinandone il potentissimo effetto e finendo per sembrare uno sgradevole tentativo di allungare il brodo.
Insomma, tirando le somme: un buon prodotto editoriale che ripropone un classico del fantastico con cura e attenzione, ma che, forse per gusto nostalgico, ha voluto mantenere del materiale che va a rendere meno piacevole la lettura, e di cui si poteva tranquillamente fare a meno.

Cosa farebbe la signorina Rottenmeier?
La signorina Rottenmeier comprerebbe il libro (ha una grande ammirazione per i classici, anche se trova poco consona tutta quella violenza) e rifletterebbe sulla possibilità di tagliare via le pagine scritte da Zuddas. Ma dato che detesta l’idea di mutilare i libri, si limiterebbe a ignorarle e a negare decisamente, in qualunque conversazione, che dette pagine siano mai esistite.



31 ottobre 2010

WWFRD? (ovvero, un'introduzione)

Può capitare, se, come me, si dedica la vita alle futilità, di incontrare imprevisti. Un libro terribile, o una pessima scelta editoriale. Un film che grida vendetta al cielo. Un attore cane che ha deciso di perseguitarvi con la sua incapacità. Un giornalista a cui mancano cognizioni elementari di grammatica e ortografia. O, se siete fortunati, un capolavoro inaspettato. Una mostra che si rivela interessante contro ogni previsione. Una serie a fumetti che improvvisamente mostra un guizzo di vitalità insospettabile… Insomma: qualcosa provoca un’emozione, di qualunque natura essa sia.
Cosa fare, allora? La si può conservare gelosamente, la si può condividere, si può far passare inosservata. Io, che da parte mia preferisco affidarmi all’esempio delle figure che più mi hanno ispirato nel corso della mia formazione, mi chiedo sempre: cosa farebbe la signorina Rottenmeier?